Le proposte della Commissione europea sugli imballaggi preoccupano l’industria italiana

Pro Food Le proposte della Commissione europea sugli imballaggi preoccupano l’industria italiana

Le proposte della Commissione europea sugli imballaggi preoccupano l’industria italiana

Le proposte della Commissione europea sugli imballaggi preoccupano l’industria italiana 2560 1707 Lorenzo Segale

La Commissione europea ha pubblicato la nuova proposta di Regolamento sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio (PPWR). Il cambiamento di forma giuridica da direttiva a regolamento direttamente applicabile in tutti gli stati membri indica la volontà di stabilire norme uniformi sugli imballaggi nel mercato interno europeo.
Prima di diventare esecutive le proposte della Commissione dovranno però essere presentate al Parlamento europeo e al Consiglio.
Questo orientamento risulta apprezzabile e costruttivo per certi aspetti, viste anche le incongruenze di applicazione della recente Direttiva su Single Use Packaging (SUPD).
Vi sono però altri aspetti per i quali alcune misure previste dalla proposta di Regolamento risulterebbero totalmente inapplicabili in numerosi stati, se non a discapito della sostenibilità reale.
Pro Food è favorevole ad alcuni temi contenuti nel Regolamento, quali la riduzione dell’“over-packaging”, la spinta a rendere tutti gli imballaggi riciclabili entro il 2030 e all’aumento dell’utilizzo di plastica riciclata per produrre imballaggi: sono temi che vedono le aziende di Pro Food all’avanguardia nel settore degli imballaggi per alimenti.

Riteniamo invece che vi siano norme previste dal regolamento non basate su studi scientifici di un minimo spessore, frutto di valutazioni puramente ideologiche e tali da mettere a rischio la stessa sicurezza alimentare. 

Le proposte che destano più preoccupazione sono quelle che riguardano il divieto di vendita dei  contenitori in plastica per contenere frutta e verdura così come gli imballaggi monouso per servire alimenti e bevande all’interno di ristoranti e bar e l’introduzione di percentuali minime di imballaggi riutilizzabili che dovranno essere immessi sul mercato a partire dal 1° Gennaio 2030.
Entro tale data il 20% dei contenitori per bevande da asporto, come tazze e bicchieri, dovranno essere riutilizzabili. Percentuale che dovrà essere dell’80% nel 2040.
Allo stesso modo entro il 2030 il 10% degli alimenti pronti al consumo e d’asporto dovrà essere venduto in imballaggi riutilizzabili, quota che nel 2040 dovrebbe salire al 40%.
Queste norme e obiettivi appaiono puramente arbitrari, anziché frutto di valutazioni scientifiche fatte utilizzando strumenti specifici come studi di LCA, in grado di evidenziare costi/benefici ambientali delle soluzioni riutilizzabili rispetto a quelle monouso.
Ci chiediamo soprattutto se siano stati valutati gli impatti sulla shelf life di cibi e bevande, e sul conseguente, inevitabile aumento dello spreco alimentare dei prodotti non confezionati.
Ci domandiamo anche se siano state fatte valutazioni sulla tutela della salute dei consumatori in situazioni di consumo “nomade” (on-the-go) ma anche al proprio domicilio.
Il dubbio è che la Commissione non abbia tenuto in considerazione la complessità del settore e, visti i tempi e gli obiettivi previsti, che non ci sia la sua volontà di supportare le aziende nella transizione.

Inoltre, queste proposte sono estremamente penalizzanti per l’intera filiera agroalimentare italiana.

Perché l’Italia è un grande esportatore di prodotti ortofrutticoli, e la proibizione degli imballaggi in plastica toglierebbe una soluzione assolutamente sostenibile in termini di costo, efficacia logistica e protezione della qualità dell’alimento.
L’Italia ha inoltre concentrato ricerca e investimenti nei processi di riciclo degli imballaggi e ne è diventata l’eccellenza in Europa: l’orientamento della commissione focalizzato sul riutilizzo, vanificherebbe tali investimenti e costringerebbe all’abbandono di una politica che porta occupazione e vantaggio competitivo.
Ipotizzare di togliere gli imballaggi in plastica per ortofrutta allo scopo di incentivare una filiera corta per i prodotti ortofrutticoli, o addirittura la diffusione di massa di acquisti “a kilometro zero”, significa non avere nessuna idea di come funzioni la catena logistica alimentare, che consente fra l’altro consumi regolari e diffusi di frutta e verdura alle popolazioni di stati non certamente vocati alla loro produzione.
Significa anche ignorare o non curarsi dell’inevitabile aumento di costi e prezzi, tantopiù in una congiuntura inflazionistica come questa.

Al convegno “Il riciclo delle vaschette in plastica, un’opportunità per contrastare lo spreco e alimentare la sostenibilità” tenutosi recentemente durante l’evento Ecomondo, tutti i rappresentanti del mondo produttivo e distributivo degli alimenti freschi hanno espresso un parere concorde sugli imballaggi in plastica: preziosi per allungare la vita del prodotto e concorrere così alla riduzione del food waste, gestibili in termini di impatto ambientale quando usati con intelligenza e avviati al corretto fine vita.
Il Sole 24 Ore stima che sarebbero 700mila le aziende italiane con oltre 6 milioni di dipendenti che rischiano di essere danneggiate da queste misure.
Da Confindustria allo stesso ministro dell’ambiente Pichetto Fratin: l’Italia critica con forza una proposta che potrebbe danneggiare il tessuto economico nazionale a fronte di modesti se non nulli benefici ambientali.
L’auspicio è dunque che queste norme vengano corrette dal Parlamento europeo.

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